lunedì 14 marzo 2011

Cos'è la ricerca, davvero (versione per le aziende)

Leggete qui. Di un ricercatore che fa la bella vita a Cambridge (è sarcasmo).

Bene. Tutto vero. Nepotismo, mafiette, precariato e quant'altro. Chiunque in un'azienda abbia fatto progetti nazionali o internazionali di ricerca e sviluppo sa benissimo come funziona. Sono le normali dinamiche di potere e ci sono ovunque.

Il problema, credo di miopia giornalistica, è che in questi articoli strappalacrime manca sempre l'altra metà del problema della ricerca. Quella applicata. Quella delle aziende.

Se il ricercatore un po' scoglionato del link sopra si sente poco apprezzato cosa dovrebbe dire un'azienda che per accedere ai fondi pubblici locali o europei per l'industrializzazione del risultato di una "ricerca scientifica" deve avere per forza un partner universitario? Questo partner, nei progetti di R&D finanziati è spesato al 100% e spesso ripropone qualcosa di già ottenuto dal precariato legalizzato di cui sopra.

Normalmente i progetti di ricerca e sviluppo industriale finanziati prevedono una fase di ricerca a carico degli atenei da cui esce un output che le aziende dovrebbero poter sfruttare per realizzare un prodotto da immettere sul mercato. Le aziende sono valutate non solo per il riuscire o meno a realizzare questo prodotto ma anche per le ricadute economico/sociali che questo prodotto avrà sul territorio (in soldoni: generi ricchezza o lavoro?). Le aziende, spesso, sono l'unico ente che risponde legalmente e penalmente del fallimento del progetto. Un altro aspetto da non sottovalutare è che nei progetti di ricerca finanziati da enti pubblici, i risultati stessi sono pubblici. L'azienda che ha recepito i finanziamenti ha un vantaggio competitivo ma le proprietà intellettuali sono di dominio pubblico e verranno pubblicate a fine progetto. Non a caso spesso sono progetti che vertono allo sviluppo di standard o infrastrutture tecnologiche comuni.

Vi lascio immaginare cosa voglia dire essere obbligati ad avere un socio imposto per legge senza il quale niente finanziamenti. Se pensate che all'estero ci sia il fair play su queste cose, siete fuori strada. Tutti gli atenei ci fanno cassa è la legge del mercato e loro devono pur campare. Anche se fa un po' strano (ma anche orgoglio) che un ateneo inglese da 3K£ l'anno di retta media competa sullo stesso terreno di uno dei nostri da 400€ e spesso perda. Come dice l'articolo spesso la differenza la fanno giovani intraprendenti, quasi senza guida, sottopagati, con scadenze perenni, che si spendono e ottengono risultati concreti (quando si è fortunati). Giovani molto bravi, persone normalissime. Che se sei fortunato alla fine riesci pure ad assumere.

Le attività di industrializzazione a carico delle aziende sono finanziate al massimo al 50%, quando va bene. Inutile dire che i progetti di ricerca che producono risultati sono pochi, quelli che producono utili ancor meno. Rientrerebbe tutto nel rischio d'impresa se le due realtà potessero cooperare senza che nessuna delle due avesse una posizione di forza facilmente abusabile. Non credo che se i vantaggi fossero a parti invertite un'azienda privata si risparmierebbe.


Farsi carico, aziendalmente parlando, dei rischi di ricerca non vuol dire solo ottenere i risultati teorici sperati ma anche riuscire a formare e canalizzare le attività e le risorse accademiche in un modello o in competenze che siano per lo meno industrializzabili. E' bellissimo avere un nuovo algoritmo, un po' meno averlo in una forma che non è implementabile e che richieda altri mesi di ricerca privata solo per ridurne la complessità o renderlo compatibile con le normali tecnologie di uso industriale.

Questa purtroppo è la norma perché grazie ai vincoli alla base di un progetto di ricerca, chi fa ricerca pura può fermarsi al minimo indispensabile, paradossalmente impoverendo il patrimonio culturale comune, lasciando ai posteri idee appena abbozzate e spesso sterili. Non è raro ricevere risultati tecnologici solo su carta, senza prototipazione, alla faccia del metodo sperimentale.

La cosa peggiore è che così facendo si lascia spazio alle grandi corporazioni private che avendo moltissimi fondi possono mettere a punto idea abortite per mancanza di tempo, fondi o impegno in autonomia, blindando i risultati con dei brevetti, monopolizzando i risultati per anni e sottraendo ricchezza sia ai cittadini che hanno pagato le tasse che sono diventate finanziamenti, sia alle aziende e agli atenei che si sono fatti carico del primo stadio di ricerca.

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