giovedì 9 dicembre 2010

I servizi online non possiedono la vostra privacy

Dopo Blizzard, anche Apple ha ceduto all'impopolare iniziativa di associare ed esporre, senza consenso, i nomi degli utenti insieme ai nickname su Game Center, un servizio inizialmente anonimo. La decisione ha suscitato molto meno scalpore di quella di Blizzard anche in virtù del fato che la già acritica community della mela è rimasta vittima del divide et impera che Apple utilizza per evitare che i suoi utenti diventino eccessivamente vocali su certi temi, impedendogli di avere un luogo ufficiale dove esprimere il dissenso e mettendolo a tacere con minacce di ripercussioni nel caso lo si facesse altrove (chi ha una licenza di sviluppo per iOS sa a cosa mi riferisco). Tuttavia la decisione riapre una ferita ormai chiusa.

Chiusa perché dopo un annuncio simile qualche mese fa, Blizzard ha ricevuto così tante critiche ed obiezioni (per lo più sensate) da aver abbandonato l'idea, nonostante ci fosse stata l'illusione che mettere gli utenti più facinorosi alla berlina avrebbe risolto un gran
numero di problemi di moderazione. Problemi che non ci sarebbero mai stati se Blizard, come Apple e moltissime altre multinazionali, non fosse montata sul carozzone del social gaming senza aver prima aver valutato cosa vuol dire esercire e disciplinare una piattaforma di social gaming.

Apple ha fatto lo stesso sbaglio: Game Center è simile ad Xbox Live ma la similitudine è solo superficiale. Persino il molto più popolare servizio di social gaming OpenFeint offre una maggiore tutela agli utenti verso assalti personali, molestie reiterate o furto di dati. Senza un controllo di qualità capillare e collaudato, servizi del genere hanno il brutto merito di attrarre i molestatori, invece che spaventarli. Pur tutelando la privacy, Xbox Live riesce a denunciare e a mandare dietro le sbarre migliaia di molestatori l'anno, grazie ad un mix di servizi automatici di monitoraggio e di segnalazioni manuali degli abusi. Facebook ha un sistema simile, che evita di mettere in pericolo la privacy dell'utente. Questi sistemi sono costosi e necessitano di uno staff dedicato che sia in grado di reagire dinamicamente ad un contesto molto più complicato (anche per le ripercussioni psicologiche) di come appare.

Quello che Blizzard e Apple non hanno capito è che non si possono risolvere i problemi di moderazione delle piattaforme sociali mettendo i molestatori alla berlina, come se un bel linciaggio di massa possa essere il giusto deterrente. Esporre di punto in bianco i dati personali di tutti è comunque un grosso problema di privacy per moltissime persone. Basta pensare alle donne che molto spesso non riescono a giocare online senza avere problemi di varia natura o alle figure pubbliche che non sarebbero più in grado di tutelare la propria privacy.

Siamo sicuri che rendere pubblici i nomi e i cognomi di personalità sociopatiche sia un deterrente adeguato per scoraggiarle a continuare le loro accanite molestie?

Facendo così non si potrebbe fornire a queste persone uno strumento in più per portare la molestia ad un livello più personale, uscendo da quello puramente virtuale di Game Center? 

Blizzard, anche su indicazione dell'ESRB (che ha esposto molti dubbi sulla tutela dei minori), ha riconsiderato l'impatto che queste decisioni possono avere sulle vite degli utenti. E' strano che lo stesso Steve Jobs non ci abbia pensato, dato che da qualche mese si è elevato a paladino della sicurezza personale e morale di tutti gli utenti Apple (figli inclusi), salvo poi uscirsene con clausole intimidatorie sulle EULA e decisioni dilettantesche come questa. Che la soluzione possa essere un non-social network castrato nell'interazione e nella condivisione (ma non nella cessione incondizionata di tantissimi dati personali) come Ping?

Ricordiamoci che gli attacchi portati tramite social engineering si basano proprio sulla conoscenza di dati personali di base, come il nome completo, la data di nascita o la città di residenza. Tutto il resto si risolve con poche telefonate ed un operatore di call center meno esperto della media. Il furto dell'identità è un reato molto diffuso (ma poco pubblicizzato da banche e servizi online) e parte proprio da servizi secondari come quelli di intrattenimento, che gli utenti spesso non associano alla sicurezza personale. Molti molestatori online usano il social engineering per rintracciare la vittima.

Per il resto si vedrà. Se le molestie erano uno delle prime ragioni di disaffezione degli utenti da Game Center (seguite dai bachi e dalle conseguenze devastanti per la durate delle batterie) è tutto da verificare quanto le nuove discipline di insicurezza di Apple invoglieranno gli utenti a tornare sul servizio.

L'unica cosa che dovrebbe essere evidente in rete è che nessuna multinazionale dovrebbe possedere la vostra privacy e decidere come amministrarla per voi.

Ma per molti, questo non è ancora un problema.

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